Testo: Narci Simion - Guida Alpina

Di carattere schivo e riservato, Donato Zagonel di Tonadico, ha realizzato in passato una serie di difficilissime salite solitarie, delle quali, per modestia, ha sempre mantenuto un certo riserbo. In questa intervista, Donato, Guida Alpina, racconta del suo ‘scalare solitario’ sul Sass Maor, le motivazioni personali e le sue riflessioni sull’alpinismo dolomitico contemporaneo.

D: Quando sei salito sul Sass Maor per la prima volta? Per quale via e chi erano i tuoi compagni?

R: La prima volta è stata con Maurizio Zeni nel 1985. In realtà tutto si era risolto in un tentativo alla via Solleder partendo dalla variante bassa. Però ci siamo incrodati sopra la Banca Orba, abbiamo dovuto bivaccare e il giorno dopo, per inesperienza, abbiamo ripercorso in discesa la variante bassa con una serie infinita di doppie da 25 metri senza sapere che dalla Banca Orba si poteva facilmente raggiungere il Sentiero del Cacciatore. D’altronde era la mia seconda via in montagna e ‘vantavo’ una esperienza di due anni precedenti di sola palestra di arrampicata.

D: Potresti raccontarmi in seguito su quali altre vie hai arrampicato?

R: Ho ripetuto la Solleder integrale nel 1986 con Marco Longo e l’anno dopo la via Biasin con Tullio Simoni.

Nel 1988 ho ripetuto la parte alta della via Supermatita con Renzo Corona, in seguito la parte bassa della stessa via con Tullio Simoni e infine la ripetizione invernale dell’intera via con Renzo Corona.
Ho poi ripetuto nel gennaio 1989 la via Biasin con Cesco Cemin e l’abbiamo ripetuta di nuovo nel mese di maggio. Sempre con Cesco Cemin abbiamo anche fatto la prima ripetizione della via Scherzi d’estate. A proposito di arrampicate solitarie…Ho iniziato con le arrampicate solitarie nel 1987 con la Solleder in un tempo, permettetemi di dirlo, in meno di due ore. Poi la via Castiglioni nel 1988 e la via Biasin l’anno successivo auto-assicurandomi nei tratti impegnativi.
Sempre nel 1989 ho ripetuto in solitaria la parte inferiore della via Supermatita, era una domenica, e il sabato successivo la parte alta.

D: Hai una tua convinzione sul modo attuale di aprire nuove vie in alta montagna?

R: Penso che sia molto importante il modo con cui uno apre una nuova via in montagna. Lo stile e l’etica impongono una economia attentissima sull’uso degli spit: in caso contrario, meglio lasciare le pareti alle generazioni future.
Venendo alle vie classiche, molto frequentate, dove talvolta abbiamo anche tre cordate auto-assicurate ad una ‘misera’ sosta e la roccia compatta non permette l’uso di chiodi o di protezioni rimovibili, lo spit diventa un elemento per evitare disgrazie, specialmente nei casi di ritirata per maltempo oppure lungo le vie di ritorno.

D: Qualche tua altra considerazione sull’arrampicata in solitaria?

R: Io, pur avendola praticata per parecchio tempo, con il senno del dopo, sconsiglio vivamente l’arrampicata solitaria, dove per esercitarla bisogna raggiungere uno ‘stato di grazia’ particolare che implica allenamento, adeguatezza psicologica e una certa euforia.
Ma non basta: bisogna avere fortuna… tanta fortuna. Tutto questo è destinato lentamente a scomparire nel corso della vita di un alpinista.

D: Qualche situazione di panico da ricordare?

R: Quando si arrampica in solitaria, si entra in una fase di massima concentrazione, grazie alla quale si riescono a superare anche i momenti di panico che vengono razionalizzati e minimizzati. In seguito, anche a distanza di giorni, questi momenti riaffiorano periodicamente nella memoria e, questa volta, con tutta la loro inquietudine psicologica.
Ho sempre avuto la fortuna di poter arretrare di qualche metro, recuperare e ripartire determinato.

D: Cosa ti è rimasto di tutto ciò?

R: Tutt’oggi, mentre mi trovo ad arrampicare, mi balena talvolta l’idea di trascurare le protezioni necessarie e di proseguire ‘sprotetto’, libero, ma… consapevole delle vecchie seduzioni, torno al mio solito modo prudente.
Per concludere…
Ho arrampicato su molte vie dolomitiche, su numerose vie nelle Alpi (tra le altre la parete nord dell’Eiger), ho frequentato l’Himalaya in Nepal, ecc. e vorrei suggerire ai giovani arrampicatori indoor, che sono tecnicamente preparatissimi, di provare a frequentare l’alta montagna, magari inizialmente accompagnati, per l’immensa soddisfazione che ne deriva.
Io ne sono il testimone e mi piacerebbe che questa esortazione non cadesse nel vuoto.
Non ho mai avuto la possibilità di allenarmi regolarmente, a tempo pieno poiché dovevo aiutare i miei genitori che erano contadini e, specialmente d’estate, non rimaneva il tempo per dedicarmi all’alpinismo. In seguito ho frequentato i vari corsi previsti e sono diventato Guida Alpina.
La mia attività sulle Pale di San Martino continua e continuerà confidando fiducioso sulla mia maturità nonché sulla grande fortuna che mi ha permesso, a distanza di anni, di poter fare, fra l’altro, anche questa nostra chiacchierata.

Aquile Magazine