Mirabilia

Giovanni Orler Faciebat

Testo: Manuela Crepaz | Foto: Pierluigi Orler

Liutaio quasi per caso, è stato per anni scultore di professione, dando nuova vita al legno, che sotto le sue sapienti ed abili mani, prende corpo nelle forme più care della tradizione. Il suo segreto? “La marezzatura è tutto”, confida.

Giovanni Orler è un vero Medanesc. Classe 1925, abita vicino alla chiesa, sopra il suo spazioso laboratorio di scultura. È abbronzatissimo perché quando il sole splende, si scalda fuori sul poggiolo della sua stanza al primo piano. Colpiscono i suoi occhi azzurri, come l’azzurro del cielo sopra la Val de Castel che si ammira da lì in una giornata tersa. Abita con la sorella Margherita, che lo accudisce amorevolmente e a cui andrebbe dedicato un capitolo a parte: non più giovanissima nell’età, lo è nello spirito. Quando non si dedica al merletto a filet, armata di laptop, sta connessa con il mondo: “Adesso ho poche occasioni di muovermi, non lascio solo Giovanni, ma con internet vado dappertutto e chiacchiero con le mie amiche lontane”, mi racconta

Già sull’uscio del laboratorio di Giovanni si respira arte: un dipinto antico – la datazione è difficile in presenza dei pochi elementi rimasti – lascia riconoscere ciò che resta di un San Martino a cavallo nell’atto di dividere la propria clamide per darla al povero. Giovanni ha posto vicino la sua scultura lignea del Santo generoso, così non ci si sbaglia sull’interpretazione. Non sia mai che qualcuno ci veda un San Giorgio, patrono di Mezzano. Un tempo, e il nome della via lo ricorda, qui c’era un mulino ad acqua, trasformato nei primi del novecento in falegnameria. Lì, come falegname, Giovanni ha mosso i primi passi. Poi però ha dovuto smettere, perché, a causa dei suoi problemi fisici che si aggravavano di giorno in giorno, non poteva più affaticarsi e non aveva la forza di sollevare carichi.

Sono i primi anni ’70 e decide di trasformare la sua passione per la scultura in lavoro: si iscrive all’istituto d’arte di Pozza di Fassa e si diploma in tre anni maestro d’arte sotto la guida dell’artista fassano Toni Gross. Giovanni ha sempre coltivato la passione per l’intaglio, e l’arte a 45 anni è stata la sua salvezza: i suoi Crocifissi esprimono la sofferenza accettata del dolore umano, mentre le statuine del presepio, con la Sacra Famiglia e tutte quelle pecorelle, sono un inno alla gioia della nascita. Sembrano lì lì per spiccare il volo i suoi angeli musici e fermano scene di vita rurale le sue tavole scolpite. Tutto il mondo contadino, sacro, e animale ha trovato forma e vita nel legno grazie a Giovanni.

Subito dopo la guerra, negli anni ’44-’45, Giovanni, appassionato di musica classica, frequenta Don Luigi Bonat, parroco di Mezzano, che lo inizia allo studio del violino. Don Luigi amava insegnare musica ai ragazzi del paese, ed il violino era la sua passione, a cui si dedicava da autodidatta. Giovanni comincia a costruire i violini dopo aver terminato la scuola di Pozza, grazie anche agli insegnamenti di un certo signor Celerino di Treviso: uno era il braccio, l’altro la mente, racconta Margherita.

Giovanni invece fornisce dettagli più tecnici e ci confida che la tavola armonica è tutto. Il legno che Giovanni utilizza per darle vita è abete con la venatura stretta ed uguale, proveniente perciò da un albero che cresce lentamente nell’arco di un anno. Il retro dello strumento è costruito utilizzando il legno di acero, più duro.

Giovanni non lavora più, a meno che non ci sia l’occasione, ormai la fatica e la difficoltà a muoversi hanno preso il sopravvento, dal 1996 una forma costrittiva, meccanica della gabbia toracica schiacciata lo costringe a respirare l’ossigeno da una bombola, ma è sempre pronto e disponibile ad aprire il suo regno, che è lì, con ancora tutti gli attrezzi del mestiere e le sculture da terminare. Le sue figure appena abbozzate sembrano dire: “Vedrai che torna, ci finirà prima o poi”. Lui non scende più nel suo laboratorio, ma fiducioso, ti lascia le chiavi di una parte di sé. Tanto, i pezzi più “cari” sono custoditi in una vetrinetta in camera sua: quattro viole di dimensioni diverse, pronte per essere suonate, uscite dall’intaglio sapiente di Giovanni. Qui comincia a ritroso, la storia di un’altra passione, quella della costruzione di spettacolari strumenti a corde: liuti, viole e violini, in tutto ne crea una dozzina.

Nella scelta del legno, che deve essere stagionato, si deve guardare bene la marezzatura, quella ha valore, “sono i segni del legno, le sue striature”. Per la tastiera, si utilizza legno di ebano perché è duro e non si consuma. Ogni realizzazione è diversa, “ci sono strumenti che rispondono di più e di meno, non sono tutti uguali” e cambia pertanto la valutazione da uno all’altro. “Ci vuole molto tempo per costruire un violino, anche perché non si può cominciare e finire, è necessario procedere in diversi scaglioni, avendo tanta, tanta pazienza”.

Giovanni e Margherita sono stati di una disponibilità unica nel riceverci senza preavviso. I loro ricordi sono a volte un po’ sbiaditi, ma non importa: un’accoglienza così sincera, con quei sorrisi affettuosi, hanno permesso a Pierluigi Orler di immortalare il calore e l’intimità che quei violini sanno esprimere: e solo chi ha la fortuna di prenderne in mano uno, può leggere, nel loro cuore “Giovanni Orler faciebat”.

Aquile Magazine